La politica dell’integrazione delle
persone a rischio sociale (“vulnerabili”) influenza tutti i segmenti della
società campana e non esiste facile soluzione. In genere questa richiede il coinvolgimento
di un’ampia gamma di accadimenti e fattori umani, culturali, istituzionali: le
istituzioni a tutti i livelli, i leader politici delle minoranze, gli enti del
terzo settore, i cittadini, i partiti politici di ogni matrice ideologica, i
soggetti economici privati, le associazioni della società civile, i gruppi di
interessi particolari (come i sindacati e le associazioni dei datori di lavoro)
e la comunità intera. La salute dei migranti[1]
è una questione globale, investe tutti noi e riguarda
interi territorisprovvisti di punti di ascolto capaci di offrire risposte
idonee. Non riguarda solo gli operatori della salute o singoli medici e
psicologi della cura, dell’integrazione ma anche i cittadini e soprattutto le
comunità intere. Ognuno, sicuramente, nel suo piccolo deve poter fare la sua
parte e soprattutto essere messo in condizione di operare al meglio. E’ una
questione epocale e culturale prima che sociale e di emergenza sociale[2].
Dunque, la politica dell’integrazione delle minoranze concerne i cittadini italiani
ma anche le comunità degli immigrati, il che rappresenta uno dei primi punti:
il riconoscimenti dei diritti alla cura, alla salute e all’integrazione e, in
ogni caso, al modo di concepire la tutela delle etnie.
Ora l’integrazione è definita come
un processo dinamico di collaborazione di soggetti sociali diversi, che
permette a tutti gli appartenenti ai gruppi etnici, linguistici, religiosi o
culturali una partecipazione attiva alla vita economica, politica, sociale e
culturale. Questo perché le politiche dell’integrazione favoriscono la
comunanza e lo sviluppo del senso di appartenenza a tutti i livelli (alti e
bassi, nazionale e locale). L’integrazione è anche un processo che esige che
tutti i componenti di una società accettino e rispettino le istituzioni
pubbliche comuni e condividano l’appartenenza a uno Stato comune e a una
società inclusiva.
L’appartenenza è il punto di
approdo, di ancoraggio ovvero potersi sentire parte di una unica società
rispettosa delle diversità, dell’altro –che –non-siamo noi. A supporto del
processo di integrazione, molti enti attuano politiche il cui fine è quello di
creare una società in cui la diversità è rispettata e ognuno, inclusi i membri
dei gruppi etnici, linguistici, culturali o religiosi minoritari, abbiano pari
accesso ai beni e ai servizi della salute, nonché pari opportunità di
partecipare attivamente alla vita sociale, economica, culturale. Le politiche
dell’integrazione spesso contemplano azioni e misure che incentivino il dialogo
interetnico, interreligioso e interculturale, oltre a favorire l’integrazione
basata sulla tolleranza e sul rispetto reciproco. È possibile attuare
l’integrazione attraverso numerose iniziative in vari campi, inclusi
l’istruzione, la salute e i media, oppure promuovendo l’uso delle lingue delle
minoranze. L’integrazione non è
esclusivamente un obbligo delle istituzioni statali: tutti i segmenti della
società, tramite il rispetto delle leggi, hanno la propria parte di
responsabilità nel contribuire all’integrazione sociale.
Nonostante il lodevole passo avanti delle società è necessario focalizzare e rafforzare le prassi di realizzazione dei diritti: i diritti umani delle minoranze sono universali e valgono per tutti perennemente mentre le buone politiche dell’integrazione non sono spesso universalmente applicabili[3].
Nonostante il lodevole passo avanti delle società è necessario focalizzare e rafforzare le prassi di realizzazione dei diritti: i diritti umani delle minoranze sono universali e valgono per tutti perennemente mentre le buone politiche dell’integrazione non sono spesso universalmente applicabili[3].
Nonostante la riconosciuta
importanza dei diritti internazionali delle etnie e della politica minoritaria,
si deve tener conto delle difficoltà. Inoltre bisogna tenere conto del fatto
che per attuare l’integrazione è
compito delle persone. Occorre promuovere lo spirito di tolleranza e il dialogo
interculturale, azioni atte a promuovere il reciproco rispetto, la comprensione
e la collaborazione tra tutte le persone che vivono sul loro territorio (senza
tener conto della loro appartenenza etnica, culturale, linguistica o
religiosa), soprattutto nel campo dell’istruzione, della cultura e dei media.
[1]Il concetto di
“minoranza nazionale” non è prerogativa
solamente delle minoranze nazionali autoctone, ma è molto più esteso e
comprende un’ampia gamma di gruppi minoritari, comprese le comunità etniche, religiose, linguistiche e culturali,
senza che siano necessariamente state riconosciute come tali dagli Stati in cui
risiedono.
[2]L’Ufficio
dell’Alto commissario dell’OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la
cooperazione in Europa), da decenni aiuta a eliminare le tensioni interetniche
negli Stati che ne fanno parte, mediante degli standard legali internazionali
per tutelare le minoranze nazionali. Sebbene non si tratti di disposizioni
giuridiche vincolanti, le raccomandazioni si sono stabilizzate come standard
nella tutela delle minoranze nazionali, che regolarmente vengono consultati e a
cui fanno riferimento diplomatici, scienziati o le amministrazioni.
[3]Devono adeguarsi
alle sfide e alle necessità dei diversi gruppi minoritari, come pure alle
diverse circostanze (ad esempio alla forza economica di uno Stato, al lascito
culturale e così via). Le direttrici della politica dell’integrazione dipendono
dal numero degli appartenenti a una determinata etnia, dal periodo temporale
della sua presenza sul territorio, dalla concentrazione geografica, ma
soprattutto dalle necessità sociali, economiche e culturali del gruppo
minoritario.
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