lunedì 16 febbraio 2015

La Salute dei Migranti di Giuseppe Errico




La politica dell’integrazione delle persone a rischio sociale (“vulnerabili”) influenza tutti i segmenti della società campana e non esiste facile soluzione. In genere questa richiede il coinvolgimento di un’ampia gamma di accadimenti e fattori umani, culturali, istituzionali: le istituzioni a tutti i livelli, i leader politici delle minoranze, gli enti del terzo settore, i cittadini, i partiti politici di ogni matrice ideologica, i soggetti economici privati, le associazioni della società civile, i gruppi di interessi particolari (come i sindacati e le associazioni dei datori di lavoro) e la comunità intera. La salute dei migranti[1] è una questione globale, investe tutti noi e riguarda interi territorisprovvisti di punti di ascolto capaci di offrire risposte idonee. Non riguarda solo gli operatori della salute o singoli medici e psicologi della cura, dell’integrazione ma anche i cittadini e soprattutto le comunità intere. Ognuno, sicuramente, nel suo piccolo deve poter fare la sua parte e soprattutto essere messo in condizione di operare al meglio. E’ una questione epocale e culturale prima che sociale e di emergenza sociale[2]. Dunque, la politica dell’integrazione delle minoranze concerne i cittadini italiani ma anche le comunità degli immigrati, il che rappresenta uno dei primi punti: il riconoscimenti dei diritti alla cura, alla salute e all’integrazione e, in ogni caso, al modo di concepire la tutela delle etnie.

Ora l’integrazione è definita come un processo dinamico di collaborazione di soggetti sociali diversi, che permette a tutti gli appartenenti ai gruppi etnici, linguistici, religiosi o culturali una partecipazione attiva alla vita economica, politica, sociale e culturale. Questo perché le politiche dell’integrazione favoriscono la comunanza e lo sviluppo del senso di appartenenza a tutti i livelli (alti e bassi, nazionale e locale). L’integrazione è anche un processo che esige che tutti i componenti di una società accettino e rispettino le istituzioni pubbliche comuni e condividano l’appartenenza a uno Stato comune e a una società inclusiva.

L’appartenenza è il punto di approdo, di ancoraggio ovvero potersi sentire parte di una unica società rispettosa delle diversità, dell’altro –che –non-siamo noi. A supporto del processo di integrazione, molti enti attuano politiche il cui fine è quello di creare una società in cui la diversità è rispettata e ognuno, inclusi i membri dei gruppi etnici, linguistici, culturali o religiosi minoritari, abbiano pari accesso ai beni e ai servizi della salute, nonché pari opportunità di partecipare attivamente alla vita sociale, economica, culturale. Le politiche dell’integrazione spesso contemplano azioni e misure che incentivino il dialogo interetnico, interreligioso e interculturale, oltre a favorire l’integrazione basata sulla tolleranza e sul rispetto reciproco. È possibile attuare l’integrazione attraverso numerose iniziative in vari campi, inclusi l’istruzione, la salute e i media, oppure promuovendo l’uso delle lingue delle minoranze. L’integrazione  non è esclusivamente un obbligo delle istituzioni statali: tutti i segmenti della società, tramite il rispetto delle leggi, hanno la propria parte di responsabilità nel contribuire all’integrazione sociale.
Nonostante il lodevole passo avanti delle società è necessario focalizzare e rafforzare  le prassi di realizzazione dei diritti: i diritti umani delle minoranze sono universali e valgono per tutti perennemente mentre le buone politiche dell’integrazione non sono spesso universalmente applicabili
[3].

Nonostante la riconosciuta importanza dei diritti internazionali delle etnie e della politica minoritaria, si deve tener conto delle difficoltà. Inoltre bisogna tenere conto del fatto che per attuare    l’integrazione è compito delle persone. Occorre promuovere lo spirito di tolleranza e il dialogo interculturale, azioni atte a promuovere il reciproco rispetto, la comprensione e la collaborazione tra tutte le persone che vivono sul loro territorio (senza tener conto della loro appartenenza etnica, culturale, linguistica o religiosa), soprattutto nel campo dell’istruzione, della cultura e dei media.






[1]Il concetto di “minoranza nazionale”  non è prerogativa solamente delle minoranze nazionali autoctone, ma è molto più esteso e comprende un’ampia gamma di gruppi minoritari, comprese le comunità etniche, religiose, linguistiche e culturali, senza che siano necessariamente state riconosciute come tali dagli Stati in cui risiedono.



[2]L’Ufficio dell’Alto commissario dell’OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa), da decenni aiuta a eliminare le tensioni interetniche negli Stati che ne fanno parte, mediante degli standard legali internazionali per tutelare le minoranze nazionali. Sebbene non si tratti di disposizioni giuridiche vincolanti, le raccomandazioni si sono stabilizzate come standard nella tutela delle minoranze nazionali, che regolarmente vengono consultati e a cui fanno riferimento diplomatici, scienziati o le amministrazioni.


[3]Devono adeguarsi alle sfide e alle necessità dei diversi gruppi minoritari, come pure alle diverse circostanze (ad esempio alla forza economica di uno Stato, al lascito culturale e così via). Le direttrici della politica dell’integrazione dipendono dal numero degli appartenenti a una determinata etnia, dal periodo temporale della sua presenza sul territorio, dalla concentrazione geografica, ma soprattutto dalle necessità sociali, economiche e culturali del gruppo minoritario.









Nessun commento:

Posta un commento